«Il cane nella pancia» di Sofia se n’è andato, finalmente. Non le fa più paura, non le toglie più le forze, il sonno, la possibilità di una vita normale. Non la fa più sentire diversa dagli altri bambini. Perché era proprio così che la piccola, parlando con mamma Elena, chiamava le sue crisi: «è come se avessi un cane nella pancia». Oggi Sofia ha quasi 6 anni e l’epilessia, da cui era affetta sin dai primi mesi di vita, è diventata solo un brutto ricordo.
È noto che, grazie ai farmaci, almeno il 70% di persone con l’epilessia ottiene buoni risultati, con una riduzione drastica delle crisi. Per il 30% di persone con epilessia farmaco-resistente, invece, la ricerca continua: nuovi farmaci, ma soprattutto l’opzione dell’intervento chirurgico. Nell’azienda ospedaliera di Padova, dalla metà del 2019, si sta conducendo un importante progetto per l’intervento chirurgico capace di guarire i soggetti con epilessia farmaco-resistente. Con le prime otto operazioni effettuate, l’azienda ospedaliera della città del Santo ha fatto partire un progetto pilota che l’ha fatta diventare di fatto il polo che mancava nel Nordest per la chirurgia dedicata alle persone con epilessia. Negli ultimi 20 anni, infatti, i pazienti perlopiù pediatrici, seguiti e selezionati dall’ equipe del Centro Avanzato LICE per la diagnosi e cura dell’epilessia della Clinica Pediatrica di Padova, venivano avviati per essere sottoposti all’intervento in uno dei due grandi poli di riferimento italiani: il Centro Munari dell’Ospedale Niguarda di Milano e l’Ospedale Bambino Gesù di Roma.
Un polo nato grazie anche all’apporto della dottoressa Concetta Luisi, referente dell’ambulatorio per l’epilessia dell’azienda ospedaliera patavina (leggi qua l’intervista che le avevamo fatto). Ed è proprio a Padova che Sofia è stata operata nel settembre del 2019. Una data che ha segnato l’inizio di una nuova vita, per lei e per i suoi genitori, Elena Dalla Valle e il compagno Lorenzo.
È successo a 6 mesi di età. Fino ad allora Sofia non aveva avuto alcun problema di salute. Poi un giorno ha avuto una normale febbre: durante il giorno continuava ad addormentarsi, più spesso del normale, e durante la notte ci siamo accorti delle convulsioni, anche se pensavamo fossero dovute proprio alla febbre. Assieme a queste però aveva anche lo sguardo fisso e una parte del corpo irrigidita. È stato un momento di panico: abbiamo chiamato la guardia medica e si è deciso di portarla in ospedale a Belluno. Qui le hanno dato dei farmaci per distenderla e sedarla, ma al mattino aveva ancora lo sguardo e il corpo bloccato. I medici hanno allora deciso di portarla con l’elicottero in ospedale a Padova. Qui è stata presa in cura, ha passato circa un mese ricoverata, ma ancora una diagnosi ufficiale di epilessia non c’era. Certo era una delle ipotesi, ma si poteva trattare anche di un’encefalite. Poi si è ripresa ed è stato deciso di prescriverle il Keppra, che abbiamo cominciato a darle.
Fino ad un anno e mezzo abbiamo fatto altri controlli ma nel complesso andava tutto bene. Poi c’è stato un altro episodio di febbre. In questo caso non ci sono state convulsioni, ma le si arrossava il viso e si bloccava per alcuni secondi. Abbiamo parlato con i medici, che l’hanno sottoposta a diversi EEG e le hanno cambiato la terapia. Dopo poco tempo è arrivata la diagnosi di epilessia. E questo è stato il momento più difficile, perché ti spaventa l’idea che la vita di tutta la famiglia cambi e che non possa più essere serena. Negli anni successivi poi i sintomi peggioravano sempre di più, le crisi diventavano più forti e più frequenti. Sofia aveva momenti di rigidità del corpo, oppure urlava spaventata e cercava disperatamente un adulto da abbracciare. Dopo le crisi era esausta, parlava pochissimo, si addormentava oppure restava quasi immobile per la fatica.
Crescendo diventava sempre più consapevole di avere qualcosa di diverso, qualcosa che le dava un enorme fastidio, e che le provocava anche degli sbalzi d’umore. Prendeva un mix di farmaci tre volte al giorno, ma non sembravano fare niente. E poi si accorgeva di quando le crisi stavano per arrivare. Diceva che si sentiva come se avesse “un cane nella pancia”. Sembra strano il riferimento alla pancia, ma in effetti i dottori ci hanno detto che le crisi epilettiche possono causare anche sensazioni di costrizione all’addome.
In ospedale a Padova le è stato fatto un monitoraggio di 4 giorni per riuscire a localizzare, durante le crisi, la parte del cervello da cui nascevano. In quel momento siamo stati affidati alla dottoressa Concetta Luisi, ma già la precedente neurologa, la dottoressa Clementina Boniver, ci aveva parlato dell’intervento. Sofia per fortuna era un caso operabile, perché le crisi avevano origine tutte da una determinata area della corteccia. Per quanto riguarda la scelta della struttura c’era anche l’opzione del Niguarda a Milano, ma avevamo davvero una grande fiducia nei medici di Padova, che conoscevano Sofia da quando aveva 6 mesi e che l’avevano seguita e monitorata in tutte le fasi della malattia. Quella di restare a Padova ci è sembrata l’opzione più giusta.
Devo dire che abbiamo valutato molto la cosa ma in ogni caso dare il consenso per l’operazione era l’unica cosa da fare in quel momento, perché la malattia era diventata talmente invalidante che non ci sembrava di avere opzioni alternative. È vero che si trattava di un’operazione comunque importante, che riguarda il cervello, ma non nuova. I rischi più gravi erano quelli legati a qualsiasi intervento chirurgico, quelli specifici invece al fatto che c’era una possibilità fino al 20% che non risolvesse le crisi o che queste restassero ma diventassero curabili con i farmaci. Su questo, dopo tutte le informazioni da parte dei medici, ci siamo sentiti di prendere il rischio. Un’altra possibilità prospettata era che venisse danneggiata la visione periferica. Un problema non grave, che ad esempio non compromette nemmeno gli esami per la patente. In ogni caso dopo un controllo alla vista è emerso che non c’è stato alcun danno. Comunque siamo stati ampiamente informati su tutto: e così si è fissata, dopo un’altra serie di esami, l’operazione per fine settembre del 2019.
La prima notte Sofia è rimasta in terapia intensiva, poi trasferita il pomeriggio successivo in reparto sotto antidolorifici, ma già dal terzo giorno le sono stati tolti catetere e flebo. La mattina del terzo giorno si è svegliata, è scesa dal letto ed è andata in bagno da sola. Era una cosa incredibile, perché prima voleva sempre qualcuno accanto, anche per andare in bagno. Ma a pochi giorni dall’intervento si sentiva già bene e il recupero è stato molto veloce.
Sì, è stata proprio lei a dircelo. Durante il giorno ora è molto più attiva, parla di più, e non ha più avuto crisi. Ha ripreso per qualche mese (prima del lockdown ndr.) ad andare all’asilo e da poco ha anche imparato ad andare in bicicletta. Con i medici poi si è deciso un piano di riduzione dell’unico farmaco che ancora prendeva, il Tegretol. L’ultima risonanza è andata benissimo, poi tra qualche mese sono previsti altri EEG. Ma la prospettiva, grazie all’intervento, è che Sofia sia guarita completamente.