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Epilessia e gravidanza: da Padova l’accompagnamento per un percorso sereno

Non è raro per le donne affette da epilessia essere scoraggiate o impaurite all’idea di concretizzare il loro desiderio di maternità. Oggi questo percorso può essere affrontato in sicurezza, riducendo al minimo i rischi connessi all’utilizzo dei farmaci antiepilettici. Un percorso che però dev’essere progettato attentamente: è importante che la donna, o meglio la coppia, che desidera un bambino sia incoraggiata nel suo tentativo, ma che sia allo stesso tempo informata ed accompagnata medicalmente in tale percorso per affrontarlo in modo consapevole e responsabile.

Proprio per venire incontro a questo tipo di esigenze l’ULSS 6 Euganea, presso il Poliambulatorio Specialistico “Complesso Casa ai Colli” di Padova, offre alle donne affette da epilessia – che desiderino affrontare una gravidanza – una presa in carico multidisciplinare. Nella stessa struttura, infatti, sono allocati gli ambulatori di Neurologia ed Epilessia, del Servizio di Medicina Prenatale guidato dal Dottor Gianfranco Juric Jorizzo e l’ambulatorio di Genetica Medica. Una struttura unica all’interno dell’ULSS 6 Euganea in cui le donne affette da epilessia possono trovare tutti gli specialisti necessari per essere accompagnate passo per passo lungo il loro percorso. Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Marzia Ottina, neurologa responsabile dell’ambulatorio Epilessia del Complesso Casa ai Colli.

Dottoressa, di cosa vi occupate esattamente all’interno del poliambulatorio?

Il Poliambulatorio “Casa ai Colli” dell’ULSS 6 Euganea afferisce al Distretto “Padova Bacchiglione” diretto dal dottor Fabio Verlato e, in quanto struttura territoriale, assicura la presa in carico specialistica della popolazione di cui il percorso nascita e la gestione delle patologie croniche, quale ad esempio l’epilessia, sono degli esempi. Essendo collocato a Padova, inoltre, ha la possibilità di interagire strettamente con i reparti dell’Azienda Ospedaliera di Padova qualora necessario. Mi riferisco in particolare al reparto di Ostetricia che si fa carico delle cosiddette “gravidanze a rischio” ed al Servizio di Genetica Medica che fornisce supporto alle nostre genetiste per quanto riguarda le valutazioni del rischio teratologico.
L’interesse e l’attitudine a lavorare in modo multidisciplinare hanno fatto sì che negli ultimi tre anni presso il nostro poliambulatorio si sia creata una sinergia tra specialisti che sta portando a “centralizzare” la gestione della gravidanza per le donne affette da epilessia. Oltre all’ambulatorio neurologico è presente infatti tutto il percorso ostetrico, compresi i corsi preparto, e la possibilità di acquisire una valutazione di genetica medica. Nella stessa struttura, quindi, offriamo una risposta multidisciplinare integrata per la coppia che vuole affrontare la gravidanza.

Chi sono, e quante sono, le donne o le coppie che si rivolgono a voi?

Come neurologa al momento seguo mediamente una decina di donne in gravidanza all’anno cui si aggiungono le donne, o meglio le coppie, che prendono contatti con l’ambulatorio Epilessia per capire quali sono i passi da compiere per intraprendere tale percorso. Talora giungono in ambulatorio donne con gravidanza già in atto, che richiedono un parere aggiuntivo, o inviate anche da altri specialisti neurologi che sanno che possiamo fornire le prestazioni di un team multidisciplinare. Ci tengo tuttavia a sottolineare come sarebbe preferibile iniziare a lavorare insieme da prima, nella fase di programmazione. Per questo le coppie vengono segnalate e vengono indirizzate a noi dal loro ginecologo o neurologo di riferimento.

Perché è così importante programmare il percorso prima che la gravidanza sia in atto?

Per numerosi motivi. Dobbiamo partire da una considerazione: una donna con epilessia quasi sempre dovrà affrontare una gravidanza in terapia. Questo crea preoccupazioni sulla salute del nascituro e può indurre la donna a decidere autonomamente di sospendere i farmaci. Questo atteggiamento è assolutamente da evitare proprio perché si rischia che le crisi si ripresentino. Pertanto la donna dovrà mantenere una terapia farmacologica in gravidanza.
L’obiettivo in questo caso diventa quello di cercare di portare la paziente verso una monoterapia, che significa utilizzare un solo farmaco antiepilettico per controllare l’epilessia. Dalla letteratura scientifica sappiamo che gli effetti collaterali di un farmaco sono dose-dipendenti, cioè più è alta la dose maggiore sarà l’effetto indesiderato il che significa che la politerapia, cioè il dover assumere diversi tipi di antiepilettici per trattare la malattia, aumenta ulteriormente il rischio di effetti collaterali o teratogeni. Il neurologo che incontra una donna con epilessia che desidera una gravidanza, deve spiegare chiaramente queste problematiche e poi decidere se confermare o modificare la terapia farmacologica già in uso tenendo conto, in base ai dati scientifici ed alle linee-guida, dell’appropriatezza del tipo di farmaco per curare quel determinato tipo di epilessia e del profilo di sicurezza per affrontare la gravidanza.
L’obiettivo ideale per affrontare una gravidanza con epilessia è quello di poter individuare una monoterapia, dimostrarne l’efficacia, ossia dimostrare il controllo delle crisi, utilizzandone il più basso dosaggio possibile proprio per minimizzare i rischi. Come è comprensibile, individuare la dose “ideale” richiede tempo, per questo anche le LineeGuida delle società scientifiche, quali la LICE (Lega Italiana Contro l’Epilessia) in Italia, raccomandano di programmare la gravidanza proprio per avere il tempo di avviare un percorso di questo genere.
Ottimizzare la monoterapia nel periodo pregravidico faciliterà la gestione della terapia farmacologica durante la gravidanza. Ricordo che l’organogenesi, cioè la fase dello sviluppo embrionale in cui si formano i vari organi del bambino, corrisponde circa al primo trimestre di gravidanza. Se la donna affronterà questo periodo con una monoterapia al dosaggio più basso possibile permetterà una bassa esposizione farmacologica al nascituro. Inoltre nella seconda parte della gravidanza, quando il corpo della donna si modifica, il suo metabolismo cambia, si potrà provvedere ad un aumento del dosaggio dei farmaci qualora necessario con un maggior margine di sicurezza.

Quali sono i rischi più comuni ai quali una paziente affetta da epilessia può andare incontro? E come fare per minimizzarli?

Uno dei rischi maggiori nella donna, come già detto, è la recidiva delle crisi che dobbiamo cercare di evitare sempre, perché la recidiva di crisi, specie se maggiori, potrebbe avere effetti negativi anche sul feto. Per questo è importante ottimizzare la terapia. Altra cosa sono i rischi sul nascituro. La prima paura della donna, ma direi della coppia, è sempre quella di iniziare la gravidanza sotto terapia e quanto questi farmaci possano causare danni al bambino. Tuttavia oggi abbiamo a disposizione farmaci più sicuri rispetto al passato e su questo dobbiamo dare informazioni precise.

Ma la paura più grande è sempre quella legata al rischio di malformazioni.

Per questo nella fase iniziale, cioè quella di counseling prenatale, suggeriamo sempre una valutazione genetica. Il genetista può dare un parere, dopo un’attenta anamnesi su entrambi i membri della coppia, sulla possibilità dell’insorgenza di malformazioni al feto. Un pericolo che può essere correlato all’uso dei farmaci (che comunque aumenta questo tipo di rischio), ma che in ogni caso può verificarsi spontaneamente anche nella popolazione sana in circa il 2-3% dei casi. Vorrei spiegare che le malformazioni però non sono tutte uguali. Alcuni farmaci antiepilettici di vecchia generazione potevano causare con più probabilità malformazioni maggiori, come quelle cardiache o a carico del sistema nervoso. I farmaci che cerchiamo di utilizzare oggi nella gestione della gravidanza in epilessia, ad esempio il levetiracetam e la lamotrigina, hanno una bassa percentuale di possibilità di creare questo tipo di problemi e le segnalazioni di malformazioni sono soprattutto di tipo “minore”, quali ad esempio la labiopalatoschisi, che sono suscettibili di correzione chirurgica dopo la nascita.

Che tipo di controlli, e con quale scansione, sono necessari
nell’arco dei nove mesi di gestazione?

La cadenza dei controlli sia in ambito ostetrico che neurologico si rifanno alle indicazioni e raccomandazioni delle società scientifiche. Per gli aspetti di tipo neurologico si prevede normalmente un controllo ogni mese associato agli esami ematici comprensivi del dosaggio del farmaco antiepilettico in terapia. Per quanto riguarda gli elettroencefalogrammi ci si regola in base alla storia clinica della persona e alla tipologia di epilessia, ma generalmente se ne prevede almeno uno ogni trimestre. Il monitoraggio ostetrico avviene ogni mese cui si associano le ecografie prescritte per legge, quelle di secondo livello ed anche altri eventuali controlli specifici come l’ecografia fetale cardiaca.

Per quanto riguarda il parto, ci sono controindicazioni a quello naturale?

Come neurologi, se non ci sono controindicazioni di carattere ostetrico, suggeriamo alla donna di affrontare il parto naturale, anche sulla scorta delle Linee Guida che la LICE ha stilato in proposito. Certo, con alcune accortezze. Bisogna arrivare al parto avendo tenuto sotto controllo le crisi, ed è auspicabile il ricorso all’epidurale per una miglior gestione del travaglio perché influisce positivamente sul riposo ed il recupero della madre riducendo la possibilità di una ricorrenza di crisi. Suggeriamo sempre, pertanto, alle donne ed alle coppie di rivolgersi per il parto a strutture che assicurino la partoanalgesia. A tali condizioni il ricorso al parto operativo, cioè al taglio cesareo, non è obbligatorio salvo diverse indicazioni ostetriche ovviamente.

Infine c’è bisogno di un monitoraggio anche nella fase post parto.
In che modo viene condotto?

Solitamente la donna va seguita attentamente anche nella fase puerperale, soprattutto perché il farmaco va riadattato alle nuove modifiche fisiche cui il corpo della donna è andato incontro dopo il parto. Pertanto nel periodo puerperale si eseguiranno dei controlli del livello ematico del farmaco per cercare di riadattare la dose giornaliera del farmaco alle nuove condizioni. Vengono fornite anche indicazioni sulla gestione del rientro a casa, soprattutto perché sia assicurato il giusto riposo ed il sonno. Sono ben noti infatti gli effetti negativi della deprivazione di sonno per le persone con epilessia sulla possibilità di una recidiva delle crisi. È importante che la neomamma possa contare su una rete di supporto familiare che le permetta sia di seguire il neonato sia di assicurare a se stessa un recupero psicofisico. Vengono fornite anche delle indicazioni di gestione del quotidiano, ad esempio su come cambiare il bambino in sicurezza se dovessero essere da sole in casa. Per quanto riguarda l’allattamento al seno, ormai è riportato anche nelle Linee Guida delle società scientifiche che la donna con epilessia può allattare al seno il proprio figlio se lo desidera (pur con qualche accorgimento che verrà di volta in volta spiegato dall’epilettologo di riferimento). Questo perché generalmente la quantità di farmaco che passa dal sangue materno al latte è inferiore a quello presente nel sangue placentare.

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