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Epilessia e lavoro, serve la legge sulla piena cittadinanza per combattere le discriminazioni

Ottenere la «piena cittadinanza» per le persone con epilessia, anche in ambito lavorativo. Là dove rimangono (troppi) atteggiamenti discriminatori e «c’è ancora parecchia confusione». Ne parla con noi Giovanni Battista Pesce, presidente AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia), in un’intervista che analizza a 360 gradi, e senza sconti, il tema. 

Esistono ancora atteggiamenti discriminatori nei confronti delle persone con epilessia che accedono al mondo del lavoro e in quali modi si manifestano?

Se vogliamo uscire dalla banalità, il credere che l’epilessia si coniughi con santi o diavoli, il dato oggettivo della discriminazione si realizza, in molti casi, in remissione clinica, controllo terapeutico delle crisi, valutazione di inidoneità di una persona per una mansione solo sulla base della dichiarazione della condizione patologica o dell’assunzione di terapie, nonostante l’attestazione d’idoneità del medico curante. Poi ci sono i casi delle persone che hanno crisi ma non quante non previste da una normativa, appunto discriminante in quanto pone limiti ma non garantisce adeguata inclusione.

La domanda potrebbe indurre a credere che ci sia stata precedente azione inclusiva e che, quindi, ci si chieda se ancora permangano “atteggiamenti” discriminatori. Invero, le criticità sul tema epilessia e lavoro debba essere affrontato, non solo rispetto al “resto del mondo” ma anche al proprio interno, a come le stesse associazioni laiche e professionali del mondo dell’epilessia si sono approcciate a questo tema. Se “nel resto del mondo” l’ignoranza del complesso e diversificato “mondo delle epilessie” genera, così come verso “tutti i diversi”, atteggiamenti e correlati disposti normativi discriminanti, sul tema del lavoro, nello stesso “mondo delle epilessie” c’è ancora parecchia confusione.

Ci troviamo spesso di fronte ad una sorta di “paternalismo professionale”: si ricordano persone con epilessia diventate famose, pensiamo a Giulio Cesare, Napoleone, come a voler sottolineare la diffusa normalità delle condizioni e potenzialità, mentre dall’altra si rifiuta di accettarne le parimenti diversificate condizioni disabilitanti, i relativi limiti normativi previsti e di converso la necessità di giuste misure inclusive. Sono dopo decenni di campagne AICE e duro confronto con il mondo professionale, s’intravedono primi segni di ravvedimento sul tema.

 

Una percentuale significativa di persone con epilessia non risulta occupata. Quali sono i principali motivi e quali sono le cifre in vostro possesso che fotografano questa realtà?

Immagino ci si riferisca ai dati riportati da recente Progetto «ERE – gli Epilettologi Raccontano le Epilessie», ricerca di Medicina narrativa multicentrica realizzato dall’Area Sanità e Salute della Fondazione ISTUD con il patrocinio della Lega Italiana Contro l’Epilessia (LICE), dove su 91 storie di cura scritte da 25 neurologi, a fronte di un’età media di 37 anni, il 60% dei casi risultano disoccupati, il 31% impegnati in ricerca lavorativa ed il 19% aver rinunciato alla ricerca d’occupazione.

Posto che non risulta all’oggi riconosciuto osservatorio sull’epilessia e fonte di dati accreditata, che dalla somma delle percentuali parrebbe che lo 0% sia occupato, che l’iniziativa sia comunque pregevole riflettore posto sull’epilessia, positivo contributo all’emersione dalla condizione di clandestinità in cui permane e segno di maturazione di consapevolezza nel mondo professionale della criticità del tema lavoro per le persone con epilessia, non abbiamo dati certi in merito.

In una ricerca fatta dalla Regione Emilia-Romagna nel 2010 su 176 persone con epilessia, tra i 18 e 65 anni, il tasso d’occupazione era il 46,6%, quello di disoccupazione del 14,2% mentre il 7,4% risultava ancora in Scuola/Formazione ed il 22,9% in pensione. il 6,5% in altra condizione sociale ed il 2,4% non risponde. Per affrontare tale carenza d’informazione, AICE ha, da un lato promosso in Parlamento l’esame del Disegno di Legge 716 in cui è prevista l’istituzione di una Commissione Nazionale Epilessia, partecipata da tutti i soggetti interessati, con compiti anche di osservatorio, dall’altra ha proposto ed ottenuto l’istituzione da parte della Regione Emilia-Romagna (Det. 495/15.01.2020) dell’«Osservatorio Regionale Percorso Epilessia», primo organo istituzionale dedicato al rilevamento dei dati sanitari e sociali della popolazione con epilessia. Pur a fronte della mancanza di dati certi è evidente, almeno per AICE, che, se per l’ambito sanitario la criticità maggiore è la persistente farmaco-resistenza per altro a fronte di terapie solo sedanti i sintomi e non curanti la patologia, per l’ambito sociale, conseguite le Raccomandazioni Ministeriali per la somministrazione dei farmaci in orario scolastico, la maggior criticità sia l’inclusione lavorativa.

 

In termini concreti in quale misura le persone con epilessia possono effettivamente accedere al collocamento mirato garantito alle persone con invalidità?

Va fatta una premessa: per una crisi epilettica all’anno, dall’assenza a quella tonico clonica, si può perdere il lavoro, mentre la stessa crisi non ti determina il riconoscimento neppur del minimo d’invalidità, il 46%, per accedere al collocamento mirato al lavoro o, il 60%, per il mantenimento del posto di lavoro garantendo alla propria azienda di computare tale posto nella quota riservata alle persone con disabilità dalla L. 68/99.
Il riconoscimento del 46% d’invalidità, L. 118/71, garantisce l’accesso al collocamento mirato, in realtà alla mera iscrizione nelle liste e non la garanzia di assunzione. Tale riconoscimento, sulla base della tabella di cui al DM 2 febbraio 1992, lo si consegue, se in trattamento farmacologico, solo con almeno una crisi generalizzata al mese o più di una crisi localizzata al mese. Ricordiamo che, al manifestarsi della patologia, per mantenere, in quota L. 68/99, il posto di lavoro già in essere bisogna sia riconosciuto il 60% d’invalidità.
Se hai il numero e tipo di crisi previsto dalla relativa tabella non ci sono burocrazia, visite, carte lunghe tempistiche, ormai da anni tutto si svolge in tempi definiti e viene riconosciuta tale percentuale, mentre se non hai quanto previsto dalla tabella sei escluso, limitato da una parte e discriminato dall’altra. 

 

Quanto è importante la scelta di comunicare o meno la condizione di epilessia nella fase di ingresso nel lavoro?

Fatto salvo che comunicare la propria condizione patologica non dovrebbe determinare ingiuste discriminazioni ma accesso a misure inclusive pur con ragionevoli accomodamenti, c’è un dato essenziale: qualora la si taccia mentre possa impattare sulla capacità di svolgere la mansione per cui si concorre o sia stata assegnata, si determina base per licenziamento per giusta causa. Differente è quindi la condizione di chi ha avuto il riconoscimento dell’invalidità correlata alla patologia e quanti non avendola o per remissione delle crisi o per non averla richiesta pur manifestandole. È doveroso dirlo quindi se la condizione patologica può influire sulla mansione. Se con disabilità riconosciuta c’è il collocamento mirato con tutela di ragionevole accomodamento. Se in remissione, con controllo quindi delle crisi e senza effetti collaterali sulle capacità cognitive e relazionali, si verifichi con il proprio medico se la mansione sia indicata e ci si presenti dal medico competente con detta certificazione, se rigettati per patologia scatta la discriminazione e possibilità di ricorrere.

Quanto al riconoscimento dell’invalidità da parte delle commissioni mediche, esistono delle resistenze nell’applicazione della normativa attualmente in vigore?

Non c’è alcuna resistenza da parte delle Commissioni Mediche nell’applicare la vigente legge, purtroppo il problema è che le normative attuali non offrono il giusto accesso alle misure inclusive, manca la «piena cittadinanza» per le persone con epilessia. AICE ora in Parlamento, con l’esame del Disegno di Legge 716, sta provando ad ottenerla.

 

Il riconoscimento delle tutele sembra prevalentemente legato al momento di ingresso nel mondo del lavoro, quale quadro giuridico regolamenta l’intero arco della vita lavorativa?

Come anticipato, oltre al tema dell’accesso, il mantenimento del posto di lavoro può essere tutelato quando al lavoratore è riconosciuto il 60% d’invalidità. Sia in fase di accesso sia di mantenimento del posto di lavoro “il ragionevole accomodamento” è riconosciuto solo a quanti sia stata certificata la disabilità derivante dalla propria condizione patologica. Il tema del lavoro, per entrambe dette fasi, si coniuga direttamente con quello della mobilità e quindi con l’idoneità o meno alla conduzione di veicoli a motore (moto, macchina, come pure carrello elevatore etc.) e quindi all’accesso alle misure inclusive sia per la scelta del luogo di lavoro, sia per il trasporto da parte di terzi quali, ad esempio, il contrassegno handicap per le auto.

Mentre la sola dichiarazione di assumere terapia antiepilettica può, ahinoi spesso, determinare la non assunzione o fino al licenziamento, tale condizione, non riconosciuta invalidante, non offre, anche a fronte di certificata idoneità alla mansione da parte del neurologo, minima tutela o ricorso a “ragionevole accomodamento” (L. 18/09 recepente la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità)

 

A questo proposito quali interventi si stanno promuovendo per estendere i meccanismi di tutela?

AICE, come anzidetto e da più Legislazioni, sta cercando di ottenere dal Parlamento l’approvazione di Legge per la Piena Cittadinanza delle Persone con epilessia. Limitatamente al tema del lavoro si sta cercando di garantire:

  • Necessità di supporto di certificazione di medico specialista in neurologia o disciplina equipollente/affine, per negare o limitare mansione lavorativa.
  • Il 60% per un anno e limitatamente a quanto previsto dalla L. 68/99 a quanti, a seguito di crisi epilettica con perdita di contatto con l’ambiente e/o capacità d’agire, siano stati presi in cura.
  • Almeno il 60%, ovviamente di più in base alle specifiche condizioni del caso, a seguito di certificazione di epilessia farmacoresistente con crisi con perdita di contatto con l’ambiente e/o capacità d’agire.
  • Accesso per quanti nella precedente condizione al riconoscimento della connotazione di gravità (comma 3, art. 3 L. 104/92) e misure a sostegno della mobilità (artt. 21 e 33 comma 6 L. 104/92)

Esistono particolari attenzioni da avere in certi tipi di mansioni, come il lavoro al terminale o i turni notturni? O accorgimenti sugli orari di lavoro? L’utilizzo di farmaci antiepilettici può interferire nello svolgimento di una regolare attività lavorativa?

Sotto il termine epilessia si raccolgono numerosissimi quadri patologici che a loro volta vengono scanditi su particolari condizioni individuali per gli aspetti bio-psico-sociali in cui oggi s’articola il concetto di disabilità. Oltre a quanto riportato nella domanda si potrebbero aggiungere l’altezza da terra in cui si svolge la mansione. Questo a dire che per ogni specifica condizione vanno assunti i “ragionevoli accomodamenti”. Impedimenti parziali possono determinare solo limiti alla mansione e non totale inidoneità.

 

In quali circostanze l’interazione tra medico del lavoro e neurologo specialista in epilessia è fondamentale. Su cosa si deve basare la collaborazione tra queste due figure?

Dopo anni di battaglia, denunce, ricorsi e proposte di legge, qualcosa sembra muoversi nel mondo professionale. La presa in cura della persona con epilessia dovrebbe essere sia per gli aspetti sanitari sia sociali. Venendo ora i nodi al pettine, anche nel mondo professionale ci si rende sempre più conto che «non di sole pillole vive la persona con epilessia». Le criticità sui posti di lavoro hanno fatto emergere il contrasto tra quanto spesso affermato dal medico competente (quello per le visite sul lavoro) ed il medico neurologo. Punto previsto nel Disegno di Legge 716, finora criticato dal mondo professionale, ora inizialmente compreso. Se lo specialista certifica che la persona è in grado di svolgere una mansione ci vuol pari competenza per negarlo.

 

Esiste la possibilità di svolgere un ruolo di intermediazione da parte dei sindacati, delle strutture di consulenza (agenzie) o delle istituzioni?

Certo, ma le intermediazioni si fanno nel quadro normativo delle leggi vigenti, solo una buona legge che dia piena cittadinanza alle persone con epilessia permetterà a tali soggetti di avere gli strumenti per svolgere detto ruolo. A oggi, solo nei limiti di norme che oggettivamente comportano la clandestinizzazione di una “malattia sociale”, l’epilessia (DM 249/65)

 

Quali sono i vostri suggerimenti alle aziende e ai datori di lavoro? Quali azioni concrete dovrebbero mettere in campo per superare le problematiche connesse all’inserimento e al “ragionevole accomodamento” dei lavoratori affetti dalla patologia?

Bisogna uscire dall’ambiguità, non è con il buonismo aziendale che si risolvono i problemi. Ciò può capitare in singoli casi. I lavoratori come le aziende devono avere un quadro normativo di riferimento certo. Nel caso delle persone con epilessia, se riconosciute con disabilità pari o superiore al 46% determina la possibilità da parte dei due soggetti di accedere a misure inclusive previste dalla L. 68/99, per le aziende dal finanziamento del tutoraggio alla sistemazione della postazione lavorativa, ciò con le risorse del “fondo disabili” previsto da detta legge.

In attesa che venga approvata la Legge per la Piena Cittadinanza per le persone con epilessia, buon senso. Offriamo, come AICE, a loro e persone con epilessia il supporto esperienziale e giuridico per affrontare al meglio le criticità. Potete contattarci a livello nazionale sul sito www.aice-epilessia.it o via posta elettronica assaice@gmail.com o al 3928492058 o nelle diverse sedi AICE sul territorio.

 

L’opzione del lavoro a distanza può essere utile? In quali circostanze dovrebbe esserne incrementato il ricorso?

Tale opzione ha i suoi aspetti positivi e negativi, quelli positivi sono evidenti e, per le persone fotosensibili o con difficoltà nei movimenti fini, ci sono, e ci sarebbero comunque in azienda, diverse soluzioni per superare eventuali criticità. Il problema è che, per le persone con disabilità, il lavoro non è solo stipendio ma, ancor più degli altri, è socialità inclusiva. Questo aspetto risulta fondamentale quando la disabilità si esprime in specie per gli aspetti cognitivi e relazionali. Il rischio d’isolamento, però, non è solo per loro.

 

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