C’è una correlazione fra epilessia e deficit cognitivi che è oggetto di studio, ormai da decenni. Un legame tuttora «sottostimato», perché «non è pratica clinica comune effettuare ai pazienti con epilessia una valutazione neuropsicologica», ma sul quale è stata accesa una luce. Non solo per pazienti in età evolutiva, i rapporti tra epilessia e disabilità intellettiva «rimangono comunque complessi» visto che i motivi della correlazione non sono «ancora del tutto noti». Ad aiutarci a fare chiarezza, a capire a che punto è la ricerca, ci aiuta un lavoro d’equipe. Abbiamo posto alcune domande a specialisti dell’U.O.C. di Neurochirurgia, Centro Regionale per l’Epilessia, U.O.C. Neuroradiologia, U.O.S. Psicologia Ospedaliera, U.O.C. Epilessia e Malattie Rare e IRCCS Eugenio Medea di Conegliano. E visto che l’evoluzione scientifica non procede con sigle, ma cammina grazie alle gambe delle persone, ecco i loro nomi: hanno contribuito alle risposte i neurologi Federica Ranzato e Alessia Peretti, il neuropsichiatra infantile Paolo Bonanni, i neurochirurghi Lorenzo Volpin, Massimo Piacentino, Fabio Raneri, i neuroradiologi Valerio Vitale e Raffaella Scotto Opipari, la psicologa Lara Zordan. Un’equipe multidisciplinare: donne e uomini che, ogni giorno, mettono in campo competenza e passione nel cercare risposte a quesiti ancora oscuri.
Nonostante esistano diversi tipi di epilessia e diversi tipi di crisi in termini assoluti possiamo di certo affermare che l’epilessia può avere un impatto più o meno importante non solo sul profilo cognitivo del paziente, ma anche sul suo funzionamento sociale e sul suo assetto comportamentale. Per fornire alcuni dati, un terzo dei bambini ed adolescenti con epilessia presentano una diagnosi in comorbidità di ADHD. Il 20% circa dei pazienti con epilessia rolandica è dislessico. Negli adulti con epilessia il 55% presenta un’alterazione del tono dell’umore sul versante depressivo. L’epilessia del lobo temporale influenza la memoria a lungo termine e contribuisce alla perdita di informazioni autobiografiche del paziente e rende difficoltoso l’apprendimento di nuove informazioni. La stessa Lega internazionale contro l’epilessia (ILAE) nella definizione di epilessia comprende le sue conseguenze neurobiologiche, cognitive, psicologiche e sociali. Per dare un dato, almeno il 20-40% dei bambini con epilessia presenta disabilità intellettiva. I rapporti tra epilessia e disabilità intellettiva rimangono comunque complessi e i motivi per cui molte persone con epilessia abbiano anche una disabilità intellettiva non sono ancora del tutto noti seppure l’ipotesi più probabile sia che l’epilessia e la disabilità intellettiva siano due manifestazioni della stessa patologia di base. Certamente occorre avere bene in mente che la disabilità intellettiva è uno dei principali predittori di peggioramento della qualità di vita della persona con epilessia.
I fattori che principalmente sono implicati nella disabilità intellettiva di una persona con epilessia sono l’eziologia, cioè le cause dell’epilessia, l’età d’esordio e la durata, la presenza o meno di una farmacoresistenza, la frequenza e il tipo di crisi, e la terapia farmacologica. Soprattutto in età evolutiva talvolta assumono un ruolo rilevante nel determinare un deterioramento cognitivo anche le anomalie epilettiformi quando presenti in modo subcontinuo soprattutto durante il sonno. Se l’epilessia è trattabile farmacologicamente conta molto l’aderenza ai farmaci. Se l’epilessia è farmacoresistente, l’eziologia, la durata della malattia e la politerapia farmacologica sono i fattori principali. In questi casi, a maggior ragione, è importante una diagnosi precoce di epilessia farmacoresistente, che avviene dopo avere provato 3 farmaci maggiori, ed è importante procedere ove possibile con un intervento chirurgico per ridurre l’impatto dell’epilessia sul profilo cognitivo e migliorare la qualità di vita.
Abbiamo già detto che circa il 20-40% dei bambini o adolescenti con epilessia sviluppa anche una disabilità intellettiva e aggiungiamo che colpisce fino al 70-80% dei pazienti con epilessie complesse e farmacoresistenti. Sembra quindi che il problema sia abbastanza diffuso e non circoscritto a situazioni conclamate. Inoltre è sicuramente sottostimato soprattutto perché non è pratica clinica comune effettuare ai pazienti con epilessia una valutazione neuropsicologica.
L’utilità della valutazione neuropsicologica è di avere un dato basale per comprendere l’eziologia, per formulare una correlazione anatomo-elettroclinica a scopo prechirurgico, per monitorare nel tempo l’influenza delle crisi, delle anomalie elettroencefalografiche e del trattamento farmacologico.
L’età d’esordio dell’epilessia è certamente un fattore molto importante nel determinare la gravità dei deficit cognitivi. Le epilessie ad esordio precoce sono frequentemente accompagnate da disabilità intellettiva di grado grave o profondo e molto spesso alla base di queste patologie vi sono alterazioni genetiche. Una noxa patogena che colpisca un sistema nervoso in evoluzione è intuitivamente molto più devastante sulle funzioni neuropsicologiche. Tuttavia studi sugli adulti dimostrano che deficit neuropsicologici possono essere presenti all’esordio nel 70-80 % dei casi rendendo più importanti altri fattori come l’eziologia, il tipo di crisi, la presenza di farmacoresistenza.
l neuropsicologo nella chirurgia dell’epilessia offre informazioni riguardanti il profilo cognitivo e il funzionamento comportamentale e sociale del paziente. Con valutazioni programmate e coordinate con il neurologo in momenti diversi della terapia offre un dato quantitativo sull’impatto che i farmaci possono avere sulle funzioni cognitive indagate, sul funzionamento sociale del paziente, su problematiche di carattere comportamentale. Inoltre quantifica, a terapia farmacologica assestata, la presenza di eventuali deficit cognitivi e ne monitora l’andamento. Nella chirurgia dell’epilessia il neuropsicologo unitamente alle altre figure professionali coinvolte, mette a disposizione le proprie conoscenze per valutare i possibili esiti di trattamenti chirurgici che prevedono la rimozione di aree corticali e sottocorticali.
Per i pazienti con epilessia che mostrano problemi cognitivi e comportamentali, dovrebbero essere forniti supporto in ambito scolastico, terapia occupazionale e / o psicoterapia. Tenendo conto della relazione bidirezionale suggerita tra epilessia e cognizione, non possiamo escludere nemmeno l’ipotesi che un trattamento neuropsicologico possa avere effetti benefici per quanto riguarda il controllo delle crisi.
Nel post- chirurgico esistono programmi di riabilitazione mirati a potenziare, stimolare e riabilitare funzioni cognitive. Inoltre esistono programmi di pre-riabilitazione cognitiva che mirano a potenziare funzioni intatte pre-operatoriamente per stabilire strategie e procedure compensatorie prima dell’intervento che possano essere utili per prepararsi a cambiamenti del funzionamento cognitivo che avverranno nel post-intervento.
La valutazione neuropsicologica e cognitiva nell’infanzia e nell’età adulta è divenuta una prassi consolidata prevista tra le indagini pre-chirurgiche per pazienti con epilessia farmaco-resistente che vengono valutati per un eventuale approccio chirurgico. È molto diffusa anche in pazienti con epilessia in età scolastica per garantire un corretto inquadramento del profilo intellettivo, cognitivo, comportamentale e relazionale che consenta l’eventuale stesura di piani didattici personalizzati (PDP) e individualizzati (PDI) di cui lo studente possa usufruire in ambito scolastico.
Meno diffusa la valutazione neuropsicologica e cognitiva nell’adulto. Sarebbe comunque buona prassi essere sottoposti a valutazione neuropsicologica all’esordio dell’epilessia e/o in presenza di alterazioni o deficit cognitivi/comportamentali o in seguito a cambiamenti di personalità e del tono dell’umore riportati dal paziente o da familiari significativi. Tali cambiamenti possono dipendere dalle crisi epilettiche, da un tracciato epilettiforme anomalo pur in assenza di crisi, dall’assunzione di alcuni farmaci anti-epilettici, dall’impatto che la diagnosi di malattia può avere sul paziente e da un’interazioni tra tutti questi fattori.
La stimolazione cognitiva può migliorare la funzione cerebrale. In alcuni casi alcune abilità sono perse e il miglioramento non è sempre possibile. Tuttavia in molti casi, per il principio della plasticità cerebrale, alcune funzioni possono essere assolte da nuovi reti neurali. La riorganizzazione cerebrale può avvenire per reclutamento di aree perilesionali o di aree controlaterali omologhe che intervengono nella creazione di nuovi circuiti. In questi casi le abilità non sono completamente perse: il problema può essere una difficoltà di accesso a queste funzioni che va ristabilita. A volte queste funzioni possono essere inibite da altre parti del cervello. Altre volte ancora queste funzioni possono essere semplicemente non abbastanza stimolate perché la connessione si ristabilisca. In tutti questi casi la stimolazione cognitiva, che può avvenire con test carta e matita e con software computerizzati, può portare ad un reale miglioramento del quadro cognitivo del paziente. Il programma riabilitativo prevede anche l’insegnamento di strategie di attenzione, memoria, e di apprendimento diverse, ma più funzionali ed efficaci rispetto a quelle utilizzate dal paziente che possono consentire buoni livelli prestazionali anche in presenza di deficit cognitivi.
Nell’ambito della chirurgia dell’epilessia può essere utile impostare un training cognitivo di preriabilitazione che consenta di utilizzare funzioni cognitive integre prima che vengano compromesse per apprendere delle strategie compensatorie e degli automatismi in vista dei cambiamenti post-operatori.
La Neurologia Clinica è quindi sempre più al centro nella pratica clinica. Offre un contributo fondamentale sia per quanto riguarda la diagnosi, che per il trattamento dei deficit conseguenti alle lesioni cerebrali. E proprio la Neurologia Cognitiva è stata al centro di un corso di perfezionamento che ha messo insieme, nell’Isola di San Servolo, medici ed esperti del settore. Il corso è del 2018, ma ha affrontato temi tuttora attuali. A questo link è possibile scorrere gli interventi di tutti i relatori: temi che, a 360 gradi, hanno affrontato tematiche relativa alla Neurologia Clinica.
Ve ne segnaliamo in particolar modo due: quello di Roberto Michelucci, dell’ IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche – UOC di Neurologia Ospedale Bellaria Bologna e quello di Annalisa Parente, medico specialista in riabilitazione cognitiva. Michelucci ha trattato le terapie farmacologiche e l’impatto sulla sfera cognitiva, evidenziando come le cause di coinvolgimento cognitivo nell’epilessia sono molteplici e riconducibili a 3 situazioni principali: l’eziologia dell’epilessia, gli effetti delle crisi e delle alterazioni epilettiformi sulle funzioni cognitive e gli effetti degli AEDs, farmaci anti-epilettici. Tutti i farmaci hanno un qualche possibile effetto sulle funzioni cognitive, in relazione al tipo di farmaco e alla dose utilizzata. Col fenobarbitale vi è un rischio elevato di disfunzione cognitiva severa (in particolare relativamente alla memoria e all’attenzione). Parente, invece, ha approfondito la riabilitazione cognitiva. Si basa sulle capacità riorganizzative del cervello che è stato leso: le capacità neuroplastiche del nostro cervello possono essere impiegate per ottimizzare il trattamento riabilitativo in modo da ottenere il raggiungimento del massimo grado possibile di indipendenza e di autonomia attraverso il recupero o la compensazione delle abilità cognitive e comportamentali compromesse. È stato dimostrato che una specifica terapia riabilitativa stimoli l’espansione della rappresentazione nervosa colpita da una lesione. Le modificazioni plastiche indotte da trattamenti di riabilitazione, inoltre, si sovrappongono a strategie di compensazione che il soggetto apprende spontaneamente.