Fare riscaldamento, adattarsi alla temperatura dell’acqua in modo graduale, regolarsi in base ai farmaci che si prendono. In generale, regole di buonsenso valide per tutti. Perché per la maggior parte dell’attività sportiva, essere una persona affetta da epilessia non è un limite, di nessun tipo. Basta un po’ di attenzione, come per tutti. In passato i pazienti con epilessia venivano esclusi quasi del tutto dall’attività fisica perché ritenuti soggetti a rischio a causa dell’imprevedibilità delle crisi. Una prassi diffusa, che alimentava lo stigma nei loro confronti, e che spesso ne provocava l’emarginazione da molte attività non solo sportive, ma anche lavorative. Negli ultimi decenni, tuttavia, l’atteggiamento è radicalmente cambiato. Che la persona affetta da epilessia non possa praticare sport è dunque un luogo comune da sfatare.
«Lo sport è consigliabile sia per il benessere psicofisico sia per favorire l’integrazione sociale del paziente epilettico – spiega Giuseppe Capovilla, past president LICE e Direttore della Struttura Complessa U.O. di Neuropsichiatria Infantile presso l’ospedale di Mantova. – L’Italia, da questo punto di vista, è un paese all’avanguardia, dotato di linee guida (redatte dalla LICE – Lega Italiana contro l’Epilessia e dalla Federazione Medico Sportiva Italiana) che regolano l’accesso delle persone epilettiche alla pratica sportiva, tanto che esistono casi di atleti epilettici anche nel mondo del professionismo. Tuttavia è sempre indispensabile un confronto con il medico, in particolare lo specialista in medicina dello sport e lo specialista neurologo/consulente per l’epilessia, per la corretta valutazione del rischio in base alle caratteristiche della patologia».
Le linee guida suddividono gli sport in 3 categorie, da quelli a più basso rischio fino a quelli per i quali sono necessari accorgimenti specifici. Ovvero, parlando di rischio: nessuno, moderato o elevato. «Dal punto di vista pratico bisogna dividere le situazioni considerando due assi classificatori: il primo è il tipo di sport che si sceglie, il secondo è il tipo di epilessia di cui si soffre, che può essere controllata o non controllata» spiega Capovilla. Del primo gruppo fanno parte gli sport a terra, come l’atletica leggera, il basket, la pallavolo, il calcio, la danza e gli sport con racchetta. «In generale, se una persona ha un’epilessia controllata può praticare tutti gli sport a terra. Diciamo la verità, se una persona dovesse anche avere una crisi e cadesse in terra avrebbe lo stesso rischio di farsi male di una persona sana».
Ma esistono regole più stringenti per gli altri sport? «Per gli sport in acqua, o lo sci agonistico, per non parlare di sport estremi come l’alpinismo o il paracadutismo, ci dev’essere un controllo. Chi ha avuto l’ultima crisi da almeno 24 mesi può praticarli – aggiunge il neuropsichiatra. – Ma se ci sono ad esempio alterazioni nel ritmo sonno-veglia alcune attività, come l’automobilismo, hanno controindicazioni. Nel caso dell’acqua è ovvio che se una persona decide di fare una granfondo e si allontana da solo è pericoloso, ma in piscina è sempre possibile con un’adeguata sorveglianza». E per quanto riguarda le madri che decidono di portare i loro figli in piscina? «Le precauzioni riguardano soprattutto l’uso di farmaci antiepilettici. Appena si introduce una nuova terapia può esserci sonnolenza e nei primi tempi ci vuole buonsenso. Ma i bambini hanno una buona risposta di solito. Se un bambino ha assenze pluri-quotidiane non è consigliabile metterlo in acqua. Ma nel caso in cui le crisi siano controllate la madre deve sentirsi tranquilla di affidarlo all’istruttore o all’allenatore».
Alcune regole pratiche sono state elencate all’interno delle linee guida LICE-FMSI. Ad esempio, nelle epilessie voltaggio-dipendenti prima di iniziare l’attività sportiva vera e propria è d’obbligo una fase di riscaldamento. Il soggetto dovrebbe vigilare sulla eventuale presenza di auree (in caso si presentassero, cercare di farle regredire, ad esempio con atti respiratori ben calibrati e/o assunzione di sali, zuccheri, proteine ecc.). Nel caso in cui le auree non cessino di intensità, l’attività sportiva non va sospesa bruscamente, ma lentamente, seguendo esercizi di rilassamento muscolare. Negli sport nei quali ci siano molte vibrazioni meccaniche acustiche di una certa intensità è opportuno valutare caso per caso. Negli sport nei quali si incorra in brusche variazioni termiche (come il nuoto), si deve far attenzione ad adattare la temperatura ambientale dell’acqua con il corpo in modo graduale. Negli sport nei quali è implicato il cambio repentino della gravità, come salire e scendere la pertica o la corda o il salto in alto o in lungo, in caso di presenza di aure sin dall’inizio questi sport non si potranno fare, se non si vuole rischiare la caduta per le crisi.
Seguendo i dovuti accorgimenti l’attività fisica presenta molti effetti positivi dal punto di vista neurologico, medico e psicosociale. Un elemento di coesione dal forte potere educativo, che può aiutare a combattere pregiudizi e discriminazione sociale ancora troppo presenti in questa malattia. Su questi aspetti anche il ruolo del medico sportivo è fondamentale. Ne abbiamo parlato anche con Maurizio Schiavon, medico dello sport e responsabile del servizio attività motoria per l’Azienda Ulss 6 Euganea presso il Complesso socio sanitario Colli.
È l’aspetto centrale di cui ci occupiamo. Lo ha dichiarato anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità: questo bilanciamento si fonda su un paradosso. Man mano che l’esercizio fisico aumenta di frequenza e intensità anche i benefici aumentano in maniera vertiginosa. A livelli alti i benefici si stabilizzano, ma quando l’attività è molto intensa i benefici si riducono e i rischi aumentano. Ad esempio l’acidosi o l’insufficienza respiratoria che si creano sotto sforzi intensi, nelle persone affette da epilessia, possono essere cause scatenanti di crisi. Bisogna quindi trovare il giusto equilibrio, quella condizione che genera il massimo dei benefici con il minimo dei rischi.
L’esercizio fisico regolare è importantissimo soprattutto nell’età evolutiva. Per regolare intendo con una frequenza di almeno tre volte a settimana. La riduzione del peso è senz’altro il primo di questi benefici: oggi consumo di cibo e sedentarietà tendono ad aggravare questi problemi già in giovane età. Un altro è legato alla postura, che viene corretta dal movimento costante dei muscoli. E poi ci sono benefici sui muscoli stessi, che se non esercitati tendono ad atrofizzarsi, alle articolazioni, all’apparato cardio-respiratorio. C’è una riduzione della frequenza cardiaca e, quando il cuore è allenato, si producono vantaggi per la gittata sistolica, cioè la qualità del getto di sangue che viene pompato. E poi i polmoni incrementano il loro volume e consentono un rapido recupero dopo uno sforzo. Nel bambino epilettico in particolare, poi, ci sono benefici di carattere psicologico. L’attività fisica aiuta a ridurre la frequenza delle crisi, l’ansia e la depressione, aumenta l’autostima, favorisce la socializzazione, migliora le funzioni cognitive e in generale la salute a lungo termine.
È chiaro che bisogna valutare bene quali sono gli effetti collaterali di alcuni farmaci. I più comuni effetti avversi dei farmaci antiepilettici sono stanchezza, visione offuscata o diplopia, scarsa concentrazione, incoordinazione e rallentamento dei riflessi. Tutti questi fattori possono incidere sulle performance fisiche e/o sportive. Per ciò che concerne la pratica sportiva non agonistica non ci sono controindicazioni all’uso dei farmaci, i problemi potrebbero porsi per gli sport di tipo agonistico, dove un farmaco antiepilettico può considerarsi sostanza proibita. Ma si tratta di casi rarissimi. In ogni caso il neurologo è la figura chiave nel considerare questo tipo di interazioni.
È importante far conoscere ai nostri pazienti l’importanza della pratica sportiva poiché essa aiuta a crescere, confrontarsi e a mettersi in gioco nonostante le problematiche associate alle crisi o ad eventuali disabilità associate. Consiglio sempre ai genitori di essere presenti e partecipi. Non teniamo i bambini seduti davanti al computer o al cellulare perché fa male, lo sport può davvero migliorare la qualità della vita.