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«Lavora bene, non sarai penalizzato»: le parole di Giulia per andare oltre i limiti

«Solo quelli che rischiano di spingersi troppo lontano possono eventualmente scoprire quanto lontano si possa andare». Sembra quasi che le parole del Nobel per la letteratura Thomas Stearns Eliot facciano – in filigrana – da fil rouge nella vita di tutti i giorni di Giulia Gazzetta. Parlare con lei, infatti, è in fondo ragionare sul concetto di limite. Ovvero di come una patologia, come l’epilessia nel suo caso, possa diventare uno stimolo per andare oltre, superare timori e raggiungere obiettivi. Un’intervista molto franca, com’è lei: 31 anni, di Albignasego, un impiego che mette insieme il giusto mix di impegno e soddisfazioni per una grande agenzia per il lavoro, a Marghera. Un racconto che parla di paura («c’è sempre, ti accompagnerà per tutta la vita») e responsabilità, quella che impari ad avere quando diventi grande prima ancora di essere adulta, di determinazione e momenti di crisi. Senza mai fermarsi, alzando sempre l’asticella, come Giulia fa sempre. In una sorta di horror vacui verso tutto ciò che è fermo, immobile: la vita va vissuta. «Mi sono laureata in Comunicazione con una tesi sul ruolo delle lobby nelle istituzioni europee – ricorda – e dopo una settimana ho trovato lavoro. Sono stata assistente di direzione per sette anni in una società di consulenza finanziaria. Ma avevo voglia di crescere ancor più professionalmente, e ho trovato l’occasione giusta». Giulia ha quasi pudore nel lasciare un messaggio fondamentale, ribadendo di ritenersi fortunata. «Sul lavoro come nella vita, io sono Giulia, non Giulia con l’epilessia. Le altre persone ti percepiscono spesso in base a come tu ti vedi e, di conseguenza, ti presenti. Se fai un buon lavoro su di te, non sarai penalizzato». Pare proprio di leggere fra le righe: quando ti dicono che non puoi farcela ti stanno mostrando i loro, di limiti, non i tuoi.

 

Quando hai saputo di avere l’epilessia?

«I miei hanno scoperto che avevo l’epilessia a 5 anni, ero assente. Facevo qualcosa senza rendermene conto. Ho iniziato a prendere farmaci, e la situazione sembrava sotto controllo. All’età di 10 anni mi hanno dichiarato guarita. Ma a 16 anni, ero in gita con la scuola a Genova, ho avuto una crisi».

 

Nel pieno dell’adolescenza. Come hai gestito la cosa?

«Non è facile, soprattutto in un periodo come quello. Momenti in cui vuoi sentirti come gli altri, fare le stesse loro cose. All’inizio poi non trovavamo il farmaco che potesse andare bene. Ho imparato a gestire il tutto, a convivere con la mia normalità. La malattia ti responsabilizza. Io vivo una vita decisamente normale grazie ai farmaci, ma l’adolescenza non è certo il periodo migliore per affrontare una prova del genere».

Anche perché avevi il motorino…

«E avevo paura che mi togliessero il patentino. Non è stato così, ma ho dovuto lottare per ottenere poi la patente. L’ho potuta fare a 19 anni. E la patente per me significa libertà: di girare, studiare, lavorare».

 

Una parola, paura, che torna spesso.

«Ho sempre vissuto con il timore di una crisi, ed ancora in parte è così. Tuttora non smetto i farmaci, anche perché mi sento più sicura. A 23 anni poi è arrivato un colpo duro: l’elettroencefalogramma era peggiorato, mi hanno sospeso la patente per sei mesi. Quando l’ho riavuta ho passato un momento difficile. Faticavo a convivere con la paura di una nuova crisi, e conseguente limitazione della mia libertà con un altro ritiro della patente. Nel frattempo avevo deciso di andare a vivere da sola, più vicino al lavoro. Così potevo affrontare i miei limiti, combatterli. Ma in realtà ero fragile: ed è così che quando sembrava che avessi avuto nuovamente indietro la mia vita, il primo gennaio 2013, mi è venuta un’altra crisi».

 

Là ti sei trovata di fronte ad un bivio.

«Lavoravo, e avevo la patente sospesa per un anno. Ma ti dirò che sono stata quasi contenta di aver avuto la crisi. In un certo senso mi ha liberata: quando hai l’epilessia vivi spesso una situazione di sospensione. Sai che potrà capitare, ma non sai se accadrà e quando. Alla fine con la crisi ho capito che avrei dovuto convivere con la patologia. Ho trovato i farmaci giusti, ho ricominciato a stare bene, anche e soprattutto con me stessa. E ho ripreso la patente».

 

Una rinascita?

«Ho imparato a gestire meglio la situazione. Sono più tranquilla, cerco di non farmi influenzare troppo spesso dalla malattia, anche se non è così semplice e, come dicevo, la paura c’è sempre. Se dormo poco devo recuperare, limito gli alcolici, evito le luci psichedeliche. Ma vivo una vita normale. Cerco di non farmi condizionare e di conseguenza non condiziono gli altri».

 

Da un possibile limite, quindi, la forza di far di più?

«Ho conosciuto persone con l’epilessia e con altre patologie. E sembra quasi che l’ostacolo ti dia la forza per essere ancora più determinato, per superare certi momenti. Ti dà la forza per andare oltre: di fatto hai una marcia in più, non in meno. Anche perché penso che capire realmente come vive, o meglio convive una persona con la malattia, lo possa fare in profondità solo chi è nella stessa situazione».


Non ti sono mancati impieghi impegnativi e gratificanti. Eppure ancora troppo spesso l’epilessia è un ostacolo nel luogo di lavoro.

«A me non è successo, so di essere fortunata. Ma penso sia anche fondamentale il modo in cui ci si presenta. Bisogna fare, e non è semplice, lo so, prima di tutto un lavoro su se stessi. Io sono Giulia, non Giulia con l’epilessia. Quando ho avuto bisogno di dirlo, l’ho detto. Però la tua tranquillità è decisiva anche per gli altri. Le persone ti percepiscono come tu ti vedi. E se ti presenti con voglia di fare, con la serenità di chi sa di poter dare il meglio, non verrai penalizzato».

 

 

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Insieme per l'epilessia è un progetto dell'Associazione Uniti per Cresce e Aice Padova